Che cos’è
Ad un anno dall’inizio della pandemia, nessuno è immune dalla Pandemic Fatigue (“Fatica da Pandemia”). Come dice l’OMS, essa è “la risposta prevedibile e naturale a uno stato di crisi prolungata della salute pubblica, soprattutto perché la gravità e la dimensione dell’epidemia da Covid-19 hanno richiesto un’implementazione di misure invasive con un impatto senza precedenti nel quotidiano di tutti”.
Essa è quindi la reazione naturale ad eventi stressanti prolungati. Comporta sensazioni di stanchezza (mentale e fisica), fatica, irritabilità e anergia (= incapacità/rinuncia a fare qualcosa perché appare mentalmente faticosa). Può intaccare tutte le sfere della nostra vita.
Parallelamente, la rabbia crescente per le restrizioni e limitazioni imposte, a contenimento della diffusione del virus, alimentano il nervosismo e l’insofferenza verso le regole stesse.
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Perché si sviluppa?
Quello che stiamo vivendo a causa del Coronavirus ha minato e messo in crisi il nostro senso di sicurezza (economica, mentale, sanitaria), il nostro sentirci capaci di controllare la realtà e le nostre relazioni.
Tutto ciò crea fragilità, turbamento, sofferenza fisica e psicologica, senso di impotenza, vulnerabilità, isolamento sociale ed emotivo.
Ognuno di noi è colpito da questo stravolgimento, a soffrirne più di tutti sono: i soggetti fragili (bambini, anziani, coloro che hanno patologie fisiche o mentali, persone sole e soggette all’ansia, ipocondriaci, vittime di violenza) e i “nuovi fragili”, a seguito della pandemia (adolescenti, neo-genitori, personale sanitario, disoccupati e coloro che hanno perso qualcuno a causa del Covid).
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Alcuni studi
Era il 26 febbraio 2020 quando è uscita la prima review di ben 24 studi, pubblicata sulla rivista The Lancet, che riportava le prime conseguenze psicologiche della pandemia e della quarantena. Già a dicembre 2019 il coronavirus si era diffuso e molti Paesi avevano deciso di attuare interventi di sicurezza e isolamento.
Riporto i risultati di alcuni studi presenti in letteratura.
Su The Lancet si riporta come già nelle precedenti epidemie (es: quella da Sars), tra gli effetti negativi, siano emersi sintomi da stress post-traumatico (PTSD), confusione e rabbia. In particolare, in Cina, a Wuhan (l’area cinese più colpita dal Covid-19) ed è stato visto che il 7% della popolazione in quarantena è stata colpita da sintomi del PTSD (Liu et al 2020). Sono soprattutto le donne ad aver mostrato tali sintomi e ad aver alterato la qualità del sonno.
La situazione dei giovani è tutt’altro che semplice. Sebbene siano i meno colpiti in maniera grave dall’infezione da Covid-19, sono gli ultimi a poter giovare dei vaccini, non vengono insegnate loro strategie positive per gestire questa situazione, subiscono la disorganizzazione scolastica e le restrizioni sociali in un periodo della loro crescita in cui il confronto con l’altro dovrebbe essere cruciale per la strutturazione dell’identità e della personalità. Spesso isolati o in situazioni familiari alterate dalla convivenza forzata, si sono schermati ancora di più dietro gli smartphone, hanno sviluppato sintomi di ansia, depressione, disordini e disturbi dell’alimentazione, alterazioni del sonno, nuove dipendenze (da internet e social network). Gli stessi risultati sono riscontrabili nell’indagine condotta dal Gaslini di Genova tra il 24 marzo e il 3 aprile del 2020 (comunicato del Ministero della Salute).
A dimostrazione della sofferenza dei ragazzi per la pandemia, in Italia e nei Paesi Bassi, alcuni reparti di psichiatria giovanile hanno raggiunto il record di pazienti; nel nostro Paese le segnalazioni di coloro che hanno pensato o tentato il suicidio sono aumentate del 30% durante la seconda ondata (Kwai, 2021).
Per quanto riguarda invece gli anziani, si è visto che l’isolamento sociale risulta essere un fattore predittivo di mortalità alla pari del fumo, dell’obesità, della pressione arteriosa elevata e del colesterolo (Holwerda, 2014) e provoca conseguenze importanti sul disagio emotivo, il deterioramento cognitivo e sensomotorio (Plagg, 2020).
Sentirsi soli inoltre non aumenta solo il desiderio di connettersi e riunirsi agli altri ma attiva un senso di ipervigilanza per le minacce sociali (Cacioppo 2009 e 2014).
Con la pandemia si è modificato anche il concetto di “comunità sociale”, solitamente considerato come fattore di solidarietà, fratellanza, appartenenza, collettività, sicurezza a seguito della pandemia viene associato ad effetti di distruzione, pericolo e minaccia (Van Orden, 2020).
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L’allarme europeo
Mancano i servizi e gli interventi adeguati per rispondere a tutte queste problematiche.
Secondo un’inchiesta dell’European data journalism network (Edjn) già prima della pandemia le risorse per l’assistenza psicologica in Europa erano insufficienti rispetto alla richiesta dei pazienti e, con il covid-19, la situazione è peggiorata: l’accesso alle cure è stato ancora più problematico se non bloccato. Circa il 75% dei servizi di psichiatria è stato erogato per via telematica ma questa non si è sempre rivelata un’opzione valida.
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Andrà tutto bene SE
Tanto è stato fatto: tanti sono i guariti dal Covid, molti insegnanti si sono rimboccati le maniche nel momento in cui la didattica si è spostata completamente online, tanti genitori e famiglie si sono ricostituiti e hanno affrontato insieme la crisi. Per fortuna l’essere umano è capace di tanta resilienza.
Credo però che si potranno arrestare, o almeno gestire, gli effetti psicologici negativi della pandemia solo SE:
– si investirà ed interverrà presto anche sul benessere psicologico;
– si inizierà a trattare la Pandemic Fatigue (“Fatica da Pandemia”) con lo stesso impegno che si sta mettendo per l’emergenza da Covid;
– si aiuteranno i bambini e soprattutto gli adolescenti che stanno mostrando difficoltà e sintomi di disturbi conseguenti a tali vicissitudini (in un sondaggio su 30.000 persone condotto la scorsa primavera, i giovani come categoria hanno mostrato il più basso livello di benessere psicologico);
– si migliorerà la DAD (Didattica a Distanza) e si aiuteranno ragazzi ed insegnanti a tornare ad una quotidianità nuova ma positiva;
– si aiuteranno concretamente i soggetti fragili;
– si combatteranno l’isolamento e la solitudine sociale;
– si alimenteranno la fiducia e la progettualità futura del singolo;
– si farà sempre più rete nella comunità;
– si aiuteranno anche tutti i professionisti sanitari e le figure che, fino ad ora, sono state in prima linea per il benessere fisico e psicologico di tutti.
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Psicologa Silvia Mimmotti
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