“Le fotografie sono orme della nostra mente, specchi delle nostre vite, riflessi del nostro cuore.”
Judy Weiser
Che cos’è la fototerapia
La Fototerapia permette l’utilizzo delle fotografie all’interno di un setting terapeutico, come strumento di aiuto al colloquio, in quanto favorisce l’esplorazione del proprio vissuto emotivo e relazionale.
Quando fotografiamo, esprimiamo qualcosa di noi e del nostro mondo interiore; allo stesso modo, quando osserviamo uno scatto fatto da altri, entriamo in contatto con quello di qualcun altro.
È importante e bello riuscire ad interpretare ciò che il fotografo vuole comunicare con una sua fotografia ma dobbiamo anche tener conto che, ognuno, può dare significati diversi alla stessa immagine, arricchendola.
La fotografia è una forma di comunicazione non verbale e uno strumento adatto a tutti. Permette l’esplorazione anche delle emozioni e dei vissuti di tutte quelle persone che, per i loro problemi psicologici, difficilmente riuscirebbero a farsi conoscere.
.
Un po’ di storia
Sembra che nel 1856 lo psichiatra e fotografo (per diletto) Hugh Diamond fu il primo ad utilizzare i suoi scatti per aiutare i pazienti a diventare più consapevoli della loro immagine corporea. Successivamente Carl Rogers (psicologia umanista) si servì delle foto come stimoli terapeutici; J. L. Moreno (padre dello psicodramma) leimpiegò nelle sedute di gruppo; lo psicoanalista Heinz Kohut le utilizzò nei colloqui per raccogliere elementi dell’infanzia dei suoi pazienti.
Dobbiamo attendere il 1975 per leggere il primo articolo sulla Fototerapia. Judy Weiser, psicologa e arteterapeuta, parlò dell’utilizzo della fotografia in terapia «come mezzo di esplorazione di sé e del non verbale, soprattutto nei casi in cui è difficile la verbalizzazione ed in considerazione della valenza comunicativa più veritiera del non verbale sulle nostre emozioni e sul nostro inconscio». Più recenti sono i lavori del fotografo Walter Schels e dalla giornalista Beate Lakotta che hanno rappresentato il doloroso tema del fine di vita.
.
A che cosa serve la fotografia in un percorso psicologico
La fototerapia invita all’impiego di fotografie come strumento di riflessione e di cambiamento. Solitamente, il suo obiettivo principale è quello di ricostruire e migliorare la relazione che il paziente ha con se stesso e con gli altri.
Attraverso gli scatti fotografici personali e gli album di famiglia, durante il percorso con uno psicologo, i pazienti lavorano e comprendono pensieri, ricordi ed esprimono emozioni che, con i soli colloqui, difficilmente emergerebbero.
Le fotografie, in terapia, possono aiutare a migliorare la consapevolezza nei confronti della propria identità fisica, l’immagine personale e, quindi, permettono di rafforzare la propria autostima. Favoriscono inoltre la narrazione di sé, andando oltre i limiti e le difese che si possono incontrare nella comunicazione verbale.
La fotografia, d’altra parte, lascia il soggetto libero di spaziare e scattare ciò che preferisce e nel momento che desidera.
Lo psicologo non legge le fotografie al posto degli altri e non attribuisce significati ma incoraggia, sostiene e accompagna nella scoperta di essi. Insieme al paziente, si riflette sul motivo per cui egli ha scattato certe immagini, le ha scelte, collezionate e archiviate.
.
Nel gruppo
Applicare la fototerapia negli incontri di gruppo permette di unire gli aspetti positivi dell’una e dell’altro. La fotografia, in queste occasioni, diventa strumento per esplorare i propri vissuti, alimentare l’immaginazione, creare spazi di condivisione e facilitare il confronto con il punto di vista altrui.
La condivisione in gruppo stimola inoltre l’attenzione, il pensiero creativo, la comunicazione. Se è vero quanto dice la fotografa G. Freund che «la fotografia traduce il reale ed esso si rivela secondo l’occhio di chi guarda», è importante ricordare al gruppo che ogni interpretazione di un’immagine è una lettura soggettiva ed è solo una delle tante, non è la migliore.
Il conduttore del gruppo formula inizialmente una domanda, ogni persona sceglie una o più fotografie che secondo il personale punto di vista, rispondano alla richiesta.
A questo punto, il gruppo condivide e discute le scelte fatte e lavora su di esse.
.
Psicologa Silvia Mimmotti
.
Bibliografia: Berman, L., (1993), La fototerapia in psicologia clinica, Edizioni Erickson. D’Elia, A., (1999), Fotografia come terapia. Attraverso le immagini di Luigi Ghirri, Edizioni Maltemi. Giusti E., Piombo I., Arteterapie e Counseling espressivo. Ed. Aspic, 2003 Manghi D., Vedere se stessi. La psicoterapia mediata dal video, Ed. Franco Angeli, Milano, 2003. Ravenna A.R. e Iacoella S., Il genogramma fotografico, in Formazione Psicoterapia Counselling Fenomenologia, 2006, 7, pp. 18-27. Weiser, J., (1993), PhotoTherapy Techniques: Exploring the Secrets of Personal Snapshots and Family Albums, PhotoTherapy Centre Press. Weiser J., PhotoTherapy Techniques in Counseling and Therapy: Using Ordinary Snapshots and Photo- interactions to Help Clients HealTheir Lives, PhotoTherapy Centre Press, Vancouver, 2004. Weiser J., Tecniche di FotoTerapia nel counselling e nella terapia: usare le foto comuni e le interazioni con le fotografie per aiutare i clienti a prendersi cura delle proprie vite traduzione a cura di Dr. Parrella C. e Dr. Paganelli M., Informazione: Psicoterapia, Counselling e Fenomenologia, 2006, Vol.7, pp. 120-147.