La fotografia in psicologia

« Fotografare è trattenere il respiro quando le nostre facoltà convergono per captare la realtà fugace; a questo punto l’immagine catturata diviene una grande gioia fisica e intellettuale. Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore.
È un modo di vivere. »
(Henri Cartier-Bresson, Contrasto, 2004). 

Oggi 

La fotocamera, che sia quella del cellulare o della macchina fotografica, è ormai diventata il nostro “terzo occhio” con il quale guardiamo e immortaliamo la realtà.
Essendo il prolungamento del nostro corpo, come ogni altro strumento tecnologico, anche la fotocamera modifica la struttura del cervello. La mente si rimodella continuamente sulle nuove abitudini e la mappatura sinaptica si adegua al cambiamento.
[A questo proposito, vi consiglio l’articolo di Wired: https://www.wired.it/scienza/biotech/2015/03/23/tecnologia-modifica-conformazione-cervello-umano/

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La fotografia 

La fotografia è una forma d’arte, un registratore, uno strumento di informazione, permette di esprimere e regalare emozioni, cattura un istante preciso e lo rende eterno.
È inoltre un modo per dare forma alla realtà e per creare un ricordo.
La fotografia, che sia cartacea o digitale, seppur statica, cambia di significato al mutare del momento in cui la rivediamo e al variare del nostro stato d’animo.
Sollecitando principalmente la vista, non manca di collegare anche tutti gli altri sensi (un’immagine infatti può evocare sensazioni legate ad un contatto, un sapore, un profumo o un suono). 

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Ma perché fotografiamo? 

IDENTITÀ. Le fotografie danno conferma della nostra esistenza e danno forma alla nostra identità: “tu sei nella foto quindi esisti/hai lasciato traccia”.
La società virtuale di oggi (e non solo quella costituita da adolescenti), dà valore a se stessa basandosi sempre più solo sul numero di Followers che ha o sui Like che ha ottenuto con una propria fotografia. 

RIFLESSO. Come diceva Winnicott, sin da bambini si ha l’esigenza di vedere la propria immagine riflessa. Inizialmente ciò è possibile attraverso il volto materno (gioco simbolico): in base a quanto la mamma rimanda, il piccolo comprende e costruisce dei significati di sè e di ciò che lo circonda. Successivamente rimane affascinato nel vedersi riflesso in uno specchio, nell’acqua o in una fotografia. Ciò spiega perché, nel vedere una propria foto, il bambino sorride o cerca di toccare ed esplorare “quel bambino riflesso”. 

RICONOSCIMENTO E APPROVAZIONE. La fotografia ci permette di vedere ed essere notati, compresi ed ascoltati (bisogni importanti in ogni fascia d’età). Mostrando una nostra immagine esprimiamo anche il bisogno di riconoscimento ed approvazione (Berman, 1997) da parte degli altri (necessità che, se non viene accolta, porta alla paura del giudizio). 

COMUNICAZIONE. La fotografia è un importante mezzo di comunicazione che coinvolge emozioni, pensieri e parole.
Le immagini mettono in comunicazione la persona con se stessa e con l’altro. Ci sono casi in cui, per problematiche varie (es autismo, psicosi, demenza, blocchi dovuti a traumi e lutti) o per la specifica tappa evolutiva che si attraversa (infanzia, adolescenza, vecchiaia) si ha difficoltà a comunicare e, attraverso le immagini, è possibile farlo. 

MEMORIA. Gli scatti permettono di fermare e conservare momenti della propria esistenza o di se stessi. Attraverso le foto, ogni persona può costruirsi uno spazio temporale in cui collocarsi, arricchendo di ricordi passati il suo presente. In questo modo rinforza il passato, conferma il suo essere “nel qui ed ora” (nel presente) e si proietta nel futuro. 

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Riflessioni dalla psicoanalisi 

La macchina fotografica è un’estensione dell’apparato psichico e di uno dei suoi organi percettivi, la vista.
È come se il fotografo (inteso non solo come il professionista ma chiunque si ponga di fronte ad un mirino) “esca da sè”, portando parti di se stesso all’esterno e utilizzando la realtà per comunicare aspetti personali o per elaborare i propri vissuti.
Inoltre, egli è l’unico che decide cosa immortalare della sua realtà, mettendo quindi in atto un gesto di riproduzione e ricreazione (Cacciari, 2001).
L’atto del fotografare è legato anche ai processi di introiezione e incorporazione. Grazie alla fotocamera la persona trova soddisfacimento al desiderio di impossessarsi, in un qualche modo, di un oggetto piacevole/utile (“impulsi aggressivi connessi alle fantasie libidiche di incorporazione e conquista dell’oggetto”). 

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Psicologa Silvia Mimmotti

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Bibliografia: 
Berman, L., (1993), La fototerapia in psicologia clinica, Edizioni Erickson 
Cacciari, M., (2001), Il "fotografico" e il problema della rappresentazione in Marra, C., Le idee della fotografia. La riflessione teorica dagli anni sessanta ad oggi, Mondadori 
Carr Nicholas G., Quello che internet sta facendo con il nostro cervello Ed. W.W. Norton & Co., 2010 
De Kerckhove D., Psicotecnologie connettive. Meet the media guru, Ed. Egea, 2014 
Hallett M., Neuroplasticity and Rehabilitation, Journal of Rehabilitation Research and Development, n. 4, 2005 
McLuhan, M., (1967), Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore
Riggi, C., (2008), L’esuberanza dell’ombra-Riflessioni su fotografia e psicoanalisi, Le Nuvole Tinti, G., (2007) La fotografia come altro reale artificiale parte I, II e II in www.exibart.com Winnicott D., Gioco e realtà, Ed. Armando, Roma, 1974