Ho cominciato a seguire Ilaria online perché, a quel tempo, vivevo e lavoravo a Milano e lei era nelle Marche.
Di lei mi ha colpito subito la determinazione, la dolcezza e la passione per l’acqua.
Ilaria era ed è un’ottima nuotatrice. L’acqua l’ha aiutata in tantissime situazioni. Ha iniziato a nuotare con costanza all’età di due anni e mezzo e la piscina è tutt’ora una costante della sua vita.
Mi ha raccontato che l’acqua ha accolto e modellato il suo corpo, ha cullato ogni suo pensiero, ha sfogato ogni sua emozione e le insegnato tanto.
L’ha sostenuta e motivata in uno dei momenti più difficili della sua vita quando, la diagnosi di Sindrome dello SPE (compressione del nervo sciatico popliteo esterno), le stava facendo perdere l’uso della gamba destra. Infine l’acqua ha avuto un ruolo cruciale nella riabilitazione successiva.
Ricordo che, durante le consulenze, mi raccontava che il suo obiettivo era tornare alle 100 vasche che faceva prima dell’intervento. E quelle 100 vasche ora le ha raggiunte e superate.
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Vorrei farvi conoscere Ilaria anche tramite le sue parole.
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La Sindrome dello SPE
«Fin da bambina ho sempre pensato che gli Angeli fossero quelli con il camice bianco che correvano nei corridoi degli ospedali guarendo, come per magia, tutte le persone che si rivolgessero a loro.
Questa cosa col tempo è cambiata, ho smesso di credere che i medici fossero àncore di salvezza, perché sono semplicemente persone e in quanto tali non in grado di compiere miracoli… ed in fondo è giusto così.A dicembre 2018 inizia la mia storia.
È un sabato d’inverno e decido di accompagnare un mio amico ad arbitrare una partita di pallavolo. Mi siedo sullo spalto della palestra con una gamba flessa com’è mio solito fare. Quando mi alzo la gamba è completamente addormentata dall’inguine al piede, non mi preoccupo anche perché nel giro di qualche minuto tutto sembra risolversi. Il giorno dopo si ripresenta il problema con la difficoltà ad articolare il passo.
Decido così di rivolgermi al mio medico di base che mi prescrive del cortisone convinto che nel giro di qualche giorno si sarebbe risolto tutto. Così non è stato. Prendo quindi appuntamento con un neurologo dell’ospedale vicino. Mi visita e convinto che fossi pazza mi regala un campione omaggio di acetilcarnitina, spacciandolo come il ritrovato del secolo, e mi consiglia un EMG. Il referto dell’EMG indicava “neuropatia del peroneo comune dx al capitello fibulare con lievi fenomeni di assonotmesi.” Terapia: riposo, tanta pazienza e sospensione degli allenamenti di nuoto.
Non soddisfatta mi rivolgo ad un altro neurologo. Anche lui mi visita e sulla scia delle visite precedenti mi prescrive ancora acetilcarnitina perché per il sistema nervoso non esiste cura, e mi “autorizza” a tornare in piscina.I disturbi continuano e salire le scale diventa una scalata dell’Everest, guidare la macchina un’impresa titanica e nuotare sembra impossibile.
Nel frattempo il mio nuovo medico di base mi dice che non c’è più tempo da perdere, mi indirizza da un neurochirurgo all’ospedale di Ancona. Leggendo l’EMG, senza alcuna esitazione, il neurochirurgo mi suggerisce di prenotare una visita nel più breve tempo possibile dal dott. Veronesi suo amico/collega. Dopo infinite chiamate riesco a prendere appuntamento con il neurochirurgo che mi inserisce nelle liste di attesa per un intervento urgente.Il dott. Veronesi era stato chiarissimo sia durante la visita sia nelle mail che si sono susseguite: “anche liberando il nervo, la situazione potrebbe non cambiare.”
Ho pianto per giorni interi perché a trent’anni non puoi accettare il fatto di non riuscire più a camminare. Mi ha operata il 2 luglio 2019 all’ospedale di Faenza.
Ero preparata al peggiore dei risultati, non volevo illudermi che andasse tutto bene.
Le parole del dott. Veronesi continuavano a rimbombare in testa. Ce l’ho ancora ben chiaro il momento in cui: stavo per uscire dal suo studio, avevo la mano sulla maniglia della porta, mi sono voltata verso di lui e ho detto: “7% di possibilità di recupero, giusto?! Vediamo di farcelo bastare!”. Non ho voluto vedere la sua espressione, la mia mano ha spinto sulla maniglia e sono uscita con gli occhi gonfi di lacrime e tanta paura.L’intervento è andato meglio del previsto, dopo neanche 5 minuti il mio piede ha iniziato a muoversi!
Non basterà una vita intera a ringraziare il mio angelo in camice bianco per tutto quello che ha fatto per me e, soprattutto, perché è stato uno dei pochi a non trattarmi come una psicopatica ipocondriaca.
Ringrazio i miei amici, uno ad uno, per essermi sempre rimasti accanto, senza chiedere mai nulla in cambio. Se oggi sono qui, a raccontare questa bella storia, lo devo anche a voi.L’acqua poi mi ha salvata!!! E’ stata da sempre il mio punto di partenza e quello di arrivo.
Non posso poi non ringraziare me stessa perché, tra una lacrima e un sorriso, non ho mai mollato. E quei quindici centimetri di cicatrice mi ricorderanno sempre quella caparbietà che ho “ereditato” da colui che vive nel mio cuore».
D’accordo con Ilaria, raccontiamo questa storia per celebrare la Vita, la determinazione e, soprattutto, per essere di aiuto e sostegno a chi si trova a vivere una situazione simile.
Grazie di cuore Ilaria per questa condivisione e per la luce che brilla nei tuoi occhi e nonostante ogni difficoltà: è uno stimolo per te stessa e per chi ti incontra..
Silvia Mimmotti, Psicologa