Il mestiere di genitore

Non so chi di voi abbia letto “Il mestiere di figlio”, libro di Guri Tuft.
Narra le vicende e le riflessioni di un ragazzino di 13 anni, Sigmund, che si trova a vivere la classica fase di transizione adolescenziale e aspetta con ansia la maggiore età per potersi dedicare all’amore, notare la sua voce cambiare e sentirsi sostenuto dai genitori. Questi ultimi però, divorziati ed ex sessantottini, sono rivolti a tutt’altro e impegnati a risolvere le loro faticose quotidianità.
Non è difficile immedesimarsi nel giovane protagonista, soprattutto se si legge questo racconto più o meno alla stessa età di Sigmund, su suggerimento del professore di psicologia al liceo. In quel periodo, si è ancora in piena fase di ribellione verso i propri genitori e schierarsi dalla parte del rossiccio e riccioluto ragazzino che campeggia nella copertina del libro, sembra la cosa più semplice! In fondo, è vero, nessuno ci insegna “come ESSERE FIGLI”.
Ma neanche il DURO MESTIERE DEL GENITORE ci viene insegnato!
Quanti adulti sono alla disperata ricerca di un programma o di un libro con “le istruzioni” per diventarlo?! Non a caso sono tantissimi i saggi ed i manuali che millantano di insegnare come comportarci in questo complesso ruolo. E, altrettanto non a caso, è facile che adulti pressati dalle continue richieste di società, mass media, scuola e figli, si facciano travolgere dal facile marketing. 

Cerchiamo allora di ragionare insieme su cosa significhi essere genitori e che cosa sia la genitorialitá, di cui tanto si parla oggi. 

La GENITORIALITA’ è qualcosa che non può essere confinato al semplice evento della nascita di un figlio nè è definita una volta per tutte quando si apprende la notizia di essere diventati madri o padri. Questo concetto porta con sé sia aspetti individuali legati alla nostra visione e aspirazione di come un genitore dovrebbe essere, sia elementi di coppia cioè di come i partner collaborino nel rivestire tale importante ruolo. La genitorialità, inoltre, comporta una SERIE CONTINUA DI CAMBIAMENTI, affettivi comunicativi e relazionali, durante tutto l’arco della vita perché non si può pretendere di essere ‘genitori sempre allo stesso modo’, applicando il medesimo stile educativo per ogni figlio e ad ogni età.

FARE IL GENITORE richiede di modificare spesso il proprio stile di vita, rimettere in discussione la propria progettualità e il desiderio di realizzazione personale. Si passa inoltre dall’essere coppia (per cui già si è fatto un gran lavoro poiché  si è passati dall’individualismo al dualismo) all’essere FAMIGLIA. I propri bisogni e quelli del partner passano in secondo piano per assolvere ed educare quelli di un figlio.
EDUCARE viene dal latino ‘educere’, ossia “tirare fuori”. Questo significa che all’adulto viene chiesto sia di attingere dalle proprie capacità cognitive, affettive, relazionali ed istintuali per trasmettere alla prole, sia di impegnarsi ad accompagnare il figlio ad esternare e rafforzare le risorse che possiede.

Quindi non servono manuali o elenchi di ‘chissà chi’ per essere un “buon genitore” (considerando ovviamente una situazione normale e non patologica!). Occorre  piuttosto fare appello a se stessi, utilizzare le proprie possibilità, METTERSI IN DISCUSSIONE e IN ASCOLTO AMOREVOLE del proprio figlio, CRESCERE CON LUI, passo dopo passo, cercando di affrontare INSIEME le difficoltà che si incontrano.

Per aiutarci in maniera semplice, riassumo i consigli che le autrici, Jessica Joelle Alexander e Iben Dissing Sandahl, hanno riportato nel libro “Il metodo danese per crescere bambini felici ed essere genitori sereni” che sta spopolando in Italia e non solo. Sulle scrittrici è uscita un’intervista interessante sul Cosmopolitan (https://www.cosmopolitan.com/it/lifestyle/libri/a15867641/metodo-danese-per-crescere-bambini-felici-libro/).

Il METODO DANESE si basa su 6 principi, le cui iniziali costituiscono proprio l’acronimo “Parent” (=genitore).
PLAY (gioco). Lo sport è importante ma altrettanto lo è il GIOCO LIBERO. Giocando, i bambini sviluppano la creatività ed imparano a trovare da soli le strategie per affrontare le difficoltà che possono incontrare. E’ importante inoltre che l’adulto non intervenga -a meno che non ci siano problemi o pericoli- in questo spazio libero.
AUTHENTICITY (autenticità). NON FINGERE con i propri figli, non evitare emozioni o condivisione di sentimenti con loro. La quotidianità non è sempre positiva, quindi è inutile nascondere le difficoltà. Essendo se stessi, ci si sente sereni anche nell’affrontare argomenti difficili con i bambini ed i ragazzi.
REFRAMING (ristrutturazione degli aspetti negativi). Ciò non significa essere ostinatamente positivi ma porsi il più possibile come un OTTIMISTA REALISTA, che vede la realtà come è veramente (con pregi e difetti) e sa trovare con maggiore facilità il positivo nelle sfide. Solo così si dà coraggio e si spinge il più piccolo ad attivarsi per adattarsi e gestire la realtà.
EMPATHY (empatia). E’ fondamentale e va trasmessa ed allenata, DANDO IL BUON ESEMPIO prima di ogni altra cosa. La Alexander sottolinea “occorre insegnarla, perché riduce il narcisismo, il bullismo e aumenta la felicità. L’empatia inizia comprendendo e fidandosi delle proprie emozioni, così che possiamo imparare come capire gli altri”. Coltiviamola anche leggendo con i nostri figli le storie che stimolino varie emozioni; così facendo essi si allenano a stare vicino agli altri e a non etichettarli negativamente.
NO ULTIMATUM  (nessun ultimatum). I ricatti, le punizioni e gli ultimatum non fanno che alimentare le controversie tra genitori e figli. Passiamo piuttosto maggiore tempo a SPIEGARE le regole e le motivazioni alla base dei nostri consigli. Facendolo con tranquillità, rimarcando e spendendo attenzione nello spiegare, otterremo sicuramente maggiori risultati e a lungo termine.
TOGETHERNESS (intimità). Creando questo SPAZIO INSIEME, solo per la famiglia, allontanando ogni stress e preoccupazione o negatività, i figli si sentono sicuri – accolti – coccolati. Si crea maggiore unione e cooperazione nel nucleo familiare. Si sta bene e, quando ci si allontana, si ha la consapevolezza di poter sempre contare su quella “base sicura”.

Come potete vedere, sebbene non voglia assolutamente criticare il metodo danese nè mettare in discussione i 6 fondamentali principi sui quali ci chiedono di ragionare e costruire il nostro stile educativo, vorrei farvi riflettere sul fatto che … non ci dicono nulla di nuovo rispetto a ciò che spesso e in maniera naturale facciamo. A volte, certi suggerimenti, ci aiutano a capire che ciò che stiamo facendo è la cosa più adatta o che, con piccole modifiche al nostro comportamento, potremmo migliorare la relazione con nostro figlio. 

 

Qualora ci siano particolari situazioni o si abbia semplicemente bisogno di un confronto con un professionista, è utile rivolgersi allo psicologo. Sono a disposizione per ogni dubbio e approfondimento, per organizzare incontri individuali, di coppia o di gruppo al fine di sostenere e migliorare il proprio ruolo di genitore.