“Lo psicologo può solo essere un matto per svolgere il suo lavoro e per parlare con i pazzi!”.
Non dimentichiamoci che non ci si improvvisa psicologi, alle spalle c’è tanta formazione e lavoro su se stessi. La giusta distanza aiuta professionista e persona che si rivolge a lui.
Approfondiamo:
Beh, considerando la prima affermazione e per la proprietà transitiva, si potrebbe pensare che è pazzo anche -ad esempio, e lo dico solo per sorridere- chi studia giapponese (dato che si ritiene una delle lingue più difficili da apprendere) o chi va a vivere in Malawi (solo perché risulta essere il Paese con la più
bassa speranza di vita al mondo). Con questi ragionamenti, non si considerano però molti aspetti importanti e motivazionali che possono aver spinto le persone a fare certe scelte.
A volte è colpa purtroppo di molti ciarlatani, della disonestà di alcuni professionisti della salute e della mancanza di etica professionale di altri; ciò si somma ovviamente alle credenze popolari.
Mi ricordo all’open-day dell’università di Bologna in cui ho studiato che la vicepreside, nel presentarci il corso di laurea, iniziò dicendo: “Se dovete scegliere questi studi perché sperate così di risolvere i vostri problemi, lasciate perdere e cambiate facoltà”. Sebbene le motivazioni che mi accostavano al meraviglioso quanto complicato mondo della psicologia siano state altre, non compresi subito quell’avvertimento. Con il tempo, grazie ai manuali e a tutto il lavoro interiore che l’approfondimento della psicologia permette di fare, compresi benissimo e vidi, coloro che invece avevano intrapreso il percorso spinti dall’obiettivo di voler risolvere le difficoltà personali, lasciare l’università.
Riguardo la seconda affermazione, “Ascoltando tutto il giorno i problemi degli altri è facile diventare un pazzo”. Ricordiamoci che lo psicologo, durante il suo lungo percorso di formazione e mano a mano con l’esperienza, impara la GIUSTA DISTANZA per evitare l’eccessivo ‘contagio emotivo’. Ciò non va ovviamente a discapito dell’empatia! La giusta distanza è alla base della buona riuscita del lavoro con la persona che gli si rivolge e della ‘salvaguardia’ di se stesso. Non riuscire a porsi nel modo migliore, non favorisce l’alleanza terapeutica (ma piuttosto crea simbiosi ed identificazione o dipendenza, molto gravose per il paziente) e problemi notevoli di transfert e controtransfert.
Chi si rivolge allo psicologo non è un pazzo, sta affrontando un periodo complicato o ha vissuti personali che non lo aiutano a “vivere bene” o a relazionarsi con l’altro quindi si rivolge ad un professionista con il quale svolge un lavoro che gli permetterà di trovare le giuste risorse per affrontare il momento.
Prossimamente parleremo più a lungo di chi si rivolge al professionista e sfateremo un pregiudizio a riguardo.
(ringrazio per l’immagine giovanna tantucci – https://www.archigio3d.it/
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