Se sono preoccupata per qualcosa e, chi mi sta intorno mi dice di stare tranquilla, è sicuro che al posto della calma sale la RABBIA.
Capita anche a te?
Quando chiediamo a qualcuno in ansia di calmarsi, stiamo utilizzando (spesso inconsapevolmente) una COMUNICAZIONE PARADOSSALE.
Messaggio e meta-messaggio infatti non sono coerenti fra loro: il contenuto del primo vorrebbe indurre la calma ma le sensazioni da esso provocate inducono effetti contrari.
Questo perché:
– usando un imperativo si aumenta la pressione emotiva,
– si trasmette all’altro l’idea che sta perdendo il controllo di sè e non sa gestirsi,
– si sottolinea il suo comportamento ansioso.
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Che cosa sarebbe meglio fare?
Esistono atteggiamenti e consigli più indicati in queste situazioni:
1) ACCOGLIERE in silenzio è la prima regola e spesso è sufficiente. Non è sempre necessario dire-fare-modificare qualcosa ma dimostrarsi presenti e disponibili. Far passare il messaggio che “Ci sono” significa dire all’altro che “Non si deve sentire a disagio per la sua agitazione, capita, va bene così” e “qualsiasi cosa faccia/succeda, non sarà solo”.
2) Invitare l’altro a PARLARE di ciò che lo preoccupa. Non scappiamo. Questa disponibilità permette di esternare, far defluire le emozioni difficili e far subentrare la razionalità, anzichè soffocare l’agitazione.
3) RESPIRARE insieme e lentamente.
Se il resto non funziona, si può cercare di DISTRARRE la persona in sofferenza per poter prendere per un momento la distanza da ciò che l’affligge. Questo ovviamente non significa evitare ma rispettare i tempi e i bisogni di chi, in quel momento, sta male.
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Psicologa Silvia Mimmotti