Tra le domande che i bambini rivolgono agli adulti e che creano maggiore ansia ci sono quelle “Dove si va quando si muore? Cosa succede?”. Questa, come le tante sul sesso, il parto, le mestruazioni ecc, sono domande normalissime, che pone un bambino che cresce. NON evitarle è la migliore delle soluzioni.
Si sa che più cerchiamo di non rispondere, più i bimbi si impegnano a tormentarci con la loro sana curiosità. Tanto vale mettersi il cuore in pace e dedicare tempo anche a questo aspetto fondamentale per la crescita.
In un certo senso, crescere porta a confrontarsi continuamente con il lutto (inteso come perdita): con lo svezzamento si lascia il seno o il biberon, imparando a camminare vengono tolti carrozzina e passeggino, diventando più grandi si impara ad addormentarsi senza peluche e andando a scuola si apprende che i genitori non saranno più al nostro fianco 24 ore su 24.
La cosa più importante è PERMETTERE, sin da piccoli, di POTER LIBERAMENTE PARLARE delle fantasie, dei dubbi e delle paure che queste perdite comportano.
Come avviene per quanto concerne la sessualità, anche per la morte, sapere di poterne parlare, è la base per far sì che questi aspetti importanti della vita non si trasformino in ‘tabù’, in ‘non-detti’, in ansie che col passare del tempo potrebbero diventare sempre più inquietanti.
Allo stesso tempo, quando un bambino ci confida la sua PAURA, non neghiamola ma proviamo a RASSICURARLO stando ben attenti a trattare sempre la VERITA’.
Andremmo a creare aspettative errate e a minare la sua fiducia se, quando ci chiede “Tu ci sarai per sempre?”, rispondessimo “Certo, non morirò mai!”.
Sarebbe meglio e più sincero rassicurare e riportare l’attenzione sul presente dicendo “Capisco la tua paura, anche io a volte ce l’ho. Però adesso siamo insieme e stiamo bene”. Far riferimento anche al nostro stato d’animo, incoraggia i più piccoli e li fa sentire meno ‘soli’ e ‘strani’ nel provare certe emozioni.
Sarebbe inoltre opportuno capire l’idea che il bambino ha della morte e del ‘non esserci più’. In questo modo sarebbe possibile comprendere il suo LIVELLO DI CONSAPEVOLEZZA e da quello partire per spiegare e trattare l’argomento.
A tal fine potrebbero essere utili alcuni libri o film adatti all’età e alla natura del tema.
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TAPPE DELLO SVILUPPO DELLA CONSAPEVOLEZZA DELLA MORTE
(Fonte: sito Ordine degli Psicologi del Lazio)
Come sempre, quando faccio riferimento alle tappe dello sviluppo ricordo che non sono fisse e uguali per tutti; sono orientative e dipendono molto dalla crescita emotiva, cognitiva e psichica oltre che dall’ambiente (stimolazione, cultura, coinvolgimento, ..) in cui cresce il bambino. Inoltre, ovviamente, quanto il bambino riesce a comprendere della morte dipende dall’età, dalle sue caratteristiche personali e dal legame che ha con la persona che sta morendo.
- I bambini più piccoli si sentono generalmente molto confusi e non comprendono del tutto ciò che sta accadendo, hanno pertanto bisogno di essere rassicurati, abbracciati, baciati e coccolati.
- I bambini tra i 3 ed i 5 anni vedono la morte come una partenza momentanea e pensano che la persona morta prima o poi tornerà. Consideriamo, tra l’altro, che intorno ai 5 anni mostrano particolare curiosità circa gli aspetti fisici e biologici della morte.
- I bambini tra i 7 e gli 8 anni hanno un’idea più realistica della morte. La difficoltà più grossa a cui loro vanno incontro in questo periodo è che non sono in grado di capire e identificare le loro emozioni. Potrebbero regredire in abilità precedentemente acquisite e diventare aggressivi con i compagni o sfogare la loro aggressività verso giocattoli e altri oggetti. Possono fare domande su aspetti che riguardano i funerali ed il rito della sepoltura.
- I bambini tra gli 8 e gli 11 anni vedono la morte come la fine delle funzioni vitali (assenza di respiro o di battito cardiaco). Anche a questa età i bambini non sanno riconoscere in modo chiaro le emozioni che provano e potrebbero esprimere rabbia e dolore con i compagni o con i familiari attraverso comportamenti aggressivi o tipici di quando erano più piccoli.
- I bambini dagli 11 anni in su sono in grado di comprendere la morte in termini adulti e andrebbero trattati come tali, ricordando però che spesso hanno difficoltà a gestire ed esprimere le proprie emozioni, come accade agli adulti.
UN COMPONENTE DELLA FAMIGLIA O UNA PERSONA CARA AL BAMBINO
STA PER MORIRE
Qualora si verificasse una tale circostanza, sarebbe necessario mettere a conoscenza il bambino di quanto sta per accadere e permettergli così di comportarsi di conseguenza.
Evitare certe informazioni sarebbe controproducente perché i bambini, dai 3/4 anni, capiscono già molte più cose di quelle che noi pensiamo possano comprendere. Osservano, recepiscono anche i dettagli, ascoltano. Magari non fanno domande, perché provano qualcosa di nuovo ed indefinito. Ciò che non conoscono e di cui non hanno esperienza diretta, fa particolarmente paura ai più piccoli. Quindi CONCEDERE uno spazio per potersi esprimere ‘a modo loro’ è fondamentale. Anche i bambini hanno bisogno di affrontare e gestire la loro sofferenza.
Spiegate sinceramente cosa sta succedendo, incoraggiateli ad esprimere ciò che sente. Il disegno, la musica, il canto sono validi strumenti che potrebbero venire in vostro aiuto anche in queste occasioni.
IL FUNERALE
Il funerale è un tassello che potrebbe aiutare il piccolo a rendersi conto di quanto è successo e ‘iniziarlo’ al processo di elaborazione e, piano piano, accettazione della perdita della persona cara.
Ovviamente non lo si deve obbligare. Se il bambino esprime il desiderio di non essere presente, forzare non è mai la migliore delle soluzioni. Offrirgli però la POSSIBILITA’ di SCEGLIERE come comportarsi farebbe sicuramente la differenza.
L’AIUTO DI UNO PSICOLOGO O DI UNO PSICOTERAPEUTA
Il bambino, in quanto ‘persona in lutto’ ha bisogno di essere riconosciuto, accompagnato, sostenuto nel suo dolore e nel suo riadattamento come si fa con l’adulto.
Se a morire è uno dei due genitori, ricordiamo che il bambino ha vicino l’altra figura di riferimento che sarà anche la prima e la più indicata ad aiutarlo ad affrontare il lutto (1).
Quando la famiglia ha un buon equilibrio riesce, con il tempo, a ricreare una sua armonia, imparando a convivere con la ferita subita (=la morte di un suo membro) e modularne gradualmente il dolore.
« La famiglia, in quanto gruppo, sperimenta il ‘senso stesso dell’essere gruppo’. La morte di un qualsiasi membro ne scompaginerà la struttura interna ed esterna. Però, se non patologica, la famiglia dovrebbe anche essere in grado di reggere il colpo subito e ristrutturarsi. La sofferenza va modulata (non modificata!). Non esistono scorciatoie alla sofferenza.
Inoltre, la famiglia ‘sana’, se sentirà il bisogno di essere aiutata ad affrontare la sofferenza, saprà rivolgersi a dei professionisti ». (2)
Qualora si senta il bisogno di FARSI AIUTARE (ciò non significa essere deboli!), ci si può rivolgere ad un professionista.
Lo Psicologo e lo Psicoterapeuta, attraverso la consulenza, intervengono aiutando al recupero e alla riorganizzazione delle risorse di cui la famiglia è in possesso (ma che il dolore ha “bloccato”). Tali strategie permetterebbero di gestire il problema. In questo modo si evita che la situazione peggiori.
L’intervento psicologico permette di riportare l’esperienza vissuta -seppur tragica- ad un livello di normalità in quanto -come ogni altra- è parte del percorso di vita. Inoltre il professionista permette l’espressione della sofferenza e “testimonia, con la sua presenza e la sua capacità di parlare, che egli non è “spaventato o messo in pericolo, o distrutto, dalla violenza delle emozioni e delle parole dette, al contrario della persona in lutto che ha spesso paura di esserlo” (3).
« Per trovare un modo di sopravvivere è necessario un lungo e travagliato lavoro della mente: il lutto. Siamo soliti chiamare questo lavoro del lutto ‘elaborazione’ ma l’elaborazione non vuol dire spazzare via il dolore e i ricordi tristi, serve invece a trovare alla perdita un posto della mente, una ‘stanza dentro’ che sia un contenimento al dolore per fare in modo che non invada più tutto il Sè e inibisca la vita. E’ importante che questa stanza resti anche aperta per essere sempre visitata, perché il dolore insieme al ricordo dell’amore, può durare per sempre ». (4)
Dott.ssa Silvia Mimmotti
NOTE: (1) Lieberman, Compton, Van Horn, Ghosh Ippen, 2007 (2) Caligiani Lucia, medico psicoterapeuta, Direttore della Struttura Semplice di Psiconcologia, Ausl 10 di Firenze. Responsabile del Servizo Albamedico-psicoterapeuta. Coordinatrice SIPO Toscana. (3) Dill, 2003 (4) Lapi Isabella, psicologa-psicoterapeuta, responsabile del sostegno al lutto traumatico, U.F. Salute Mentale infanzia-adolescenza zona Sud-Est. Dirigente Responsabile degli interventi di Psicologia Clinica nel Dipartimento materno-infantile dell’Azienda USL Toscana Centro. Socio con funzioni di training dell’Associazione Fiorentina di Psicoterapia Psicoanalitica. BIBLIOGRAFIA: -Bowlby, J. (1973): Attachment and Loss. Vol. 2: Separation, Basic Books, New York. Tr. It.: Attaccamento e perdita.: Vol. 2: la separazione dalla madre. Bollati Boringhieri, Torino 2000. -Guarino A., Psiconcologia dell’età evolutiva, la psicologia nelle cure dei bambini malati di cancro, Gardolo – Trento, Edizioni Erickson (Collana Il Sole a Mezzanotte), 2006 -Oppenheim D., Dialoghi con i bambini sulla morte, le fantasie, i vissuti, le parole sul lutto e sui distacchi, Edizioni Erickson (Collana Capire con il cuore), Gardolo-Trento, 2004 -Lieberman A. F./Compton N. C./Van HornP./Ghosh Ippen C., Il lutto infantile, Bologna, Il Mulino, 2007 -Lapi I., La stanza dentro, SPI Web, 2011 -Dill F., Je voudrais un psy qui parle! In A. Bercovitz ( a cura di), Accompagner des persone en deuil – L’expérience du Centre François-Xavier Bagnound,Toulouse, Erès, 2003